Testo pubblicato su Catalogo di mostra
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Maria Cristina Coppa. Le mille espressioni della completezza
di Giacomo Belloni
"Narciso scambiò la propria immagine riflessa nell’acqua per un’altra persona. [...] Il senso di questo mito è che gli esseri umani sono soggetti all’immediato fascino di ogni estensione di sé, riprodotta in un materiale diverso da quello di cui sono fatti. [...] Se fosse stato consapevole del fatto che quell’immagine era soltanto una propria estensione o riproduzione, avrebbe ovviamente reagito in modo molto diverso." (Marshall McLuhan, Understanding media, 1964)
Per comprendere Maria Cristina Coppa e la sua arte basta osservare ciò che fotografa; come pochi riesce a rendere se stessa attraverso i suoi scatti.
Il suo è un lavoro di indagine, prima di tutto su se stessa, atto a comprendere come utilizzare la creatività per dare risposte soddisfacenti alla propria sensibilità. Ella ritrae l'uomo nelle sue possibili declinazioni, e lo fa sentendo forte il dovere di nobilitarlo in ciò che non è comune, tipicamente omologato.
Mentre fotografa si riscopre e, come un Narciso contemporaneo itinerante, cerca appagamento nella dilatazione estesa della propria immagine che ritrova riflessa negli occhi docili e ansiosi di chi le si pone di fronte, sempre bramoso di lasciarle qualcosa di proprio, altrimenti inafferrabile dalle pigre tempistiche dello sguardo fugace.
D'altronde lei sa bene che la fotografia è l'unico medium capace di ritrarre l'invisibile, l'imperscrutabile, in grado di appropriarsi dei segreti più intimi, buoni o cattivi che essi siano. Impietosa, fredda, spietata, inesorabile, l'immagine fotografica afferra l'essenza del soggetto, ne mette a nudo le intimità per estenderle alla natura creatrice ed alle potenzialità dell'agire artistico.
Su ogni viso che fotografa ritrova la calma superficie riflettente dello stagno di Narciso, l'acqua amniotica creatrice di nuova vita che le restituisce se stessa rigenerata nell'immagine dello sguardo fatato di un bambino, della fierezza di una donna, in tutte le apparenti difformità delle tipologie umane ritratte nella loro integra ingenuità.
Maria Cristina Coppa si rispecchia in ciò di cui si appropria, perché ciò che ritrae è prima di tutto parte di sé, riverberato nelle sue opere attraverso un complesso lavoro interiore di rimandi e di sostituzioni. Lei fotografa per riuscire ad amare l'eterogeneo e, di conseguenza, quella parte in lei ancora incompresa, nebulosa. Cerca di metterla in luce per mezzo dell'inesauribile eloquenza della natura umana ritratta sui volti dei suoi soggetti. Fotografa l'ineguaglianza, e lo fa nella consapevolezza che ogni scatto sia un occasione imperdibile per ribadire ancora una volta che oltre l'apparenza non c'è altro che contiguità e similitudine, e che nella differenza si annida la completezza dell'intero. Unico comune denominatore è l'emozione dell'uomo, sentimento che non ha limiti né confini, tanto geografici che etnici.
Le fotografie di Maria Cristina Coppa hanno quindi un solo elemento sempre presente: l'amore; l'amore per se stessa ritrovato nell'uomo riflesso attraverso tutte le sue più impercettibili possibilità d'espressione.
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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota
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