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Pubblicazione del 12 giugno 2018
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Il Trionfo della Morte e il senso pieno della vita
di Giacomo Belloni
“Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento si disperde e si raccoglie, viene e va.”
(Eraclito, fr. 91a)
Il vento mite dell’inesorabilità soffia leggero e continuo sull’essenza fragile e caduca della nostra esistenza. Ci avvolge delicatamente mentre ci conduce lento, ma senza sosta, verso l’esito definitivo. Noi ci lasciamo accarezzare dalla sua seducente delicatezza senza contrapporre alcuna resistenza, perché sappiamo che comunque, in un modo o in un altro, tutto quanto un giorno arriverà ad avere il proprio ordinario compimento.
La vita si consuma perché il tempo scorre trascinandola via con sé. Crudele certezza, spietata verità, ineluttabile liberazione.
La vita di ognuno di noi avanza pacatamente seguendo sequenze lineari, schemi consolidati di continuità sequenziale, tempistiche che si susseguono una dopo l’altra, senza interruzione, istante dopo istante, in una successione che ci conduce verso la resa finale.
πάντα ῥεῖ. Nel nostro esistere mutiamo ininterrottamente al ritmo continuo e profondo del respiro che, nella sua incredibile forza vitale, divora la nostra presenza portando con sé l’essenza piena della finitudine.
Mai nulla però muore se non per lasciare pieno vigore alla vita. Ogni volta che qualcosa termina il proprio ciclo lascia spazio a un germogliante e meraviglioso esordio.
Immersi in un sistema dinamico di costanti alternanze temporali noi osserviamo, ricordiamo, elaboriamo, costruiamo i nostri pensieri e diamo forma alle immagini della realtà per mezzo di successioni sempre crescenti, di storie con un inizio e una fine, con una nascita e una morte, seguendo stadi progressivi che si rincorrono e che si susseguono. Minime unità statiche che si avvicendano tra loro, messe in fila a formare sequenze in progressiva evoluzione.
Se solo riuscissimo a isolare ogni singolo istante, così da poterlo osservare nella sua semplice immobilità, allora sì che potremmo finalmente cogliere ciò che ci sfugge. Invece indugiamo confusi mentre ci lasciamo trascinare dalla velocità degli accadimenti senza riuscire a comprendere nulla di ciò che ci capita mai veramente fino in fondo.
Il senso finale rimane avvolto da una nebbia grigia che tutto cela, e che ci disorienta. Se potessimo anche solo lontanamente intravvedere cosa si nasconde oltre la pesante coltre riusciremmo finalmente a distinguere che in ogni singolo momento coesistono e combattono tra loro moltitudini di forze opposte, di spinte antagoniste. Riusciremmo a sentire che in ogni istante pulsa una vibrante precarietà, un friabile equilibrio tra opposti che combattono tra loro per emergere: giorno e notte, essere e non-essere, bene e male, pieno e vuoto, tutto e nulla, Apollo e Dioniso, pace e guerra, ma soprattutto vita e morte.
“Il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame, e muta come il fuoco, quando si mescola ai profumi e prende nome dall’aroma di ognuno di essi.” (Eraclito, fr. 67)
Scanavino dipinge. Lui comunica con la sua pittura, perché questo è il suo medium, perché questo è il suo lessico, la sua grammatica. L’arte è per lui la chiave per interpretare l’essenza del mondo e per restituircela sulla tela scevra da qualsiasi elemento fuorviante. In ogni suo lavoro riesce a far emergere tutto ciò che noi non siamo in grado di comprendere perché accecati dall’ammaliante e comoda seduzione della vista e perché ogni cosa ci passa di fronte troppo rapidamente per essere catturata dalla nostra capacità conscia di dare un senso pieno agli eventi. Ne riteniamo solamente una vaga e caotica visione ma non riusciamo mai ad afferrare nulla veramente in profondità.
Siamo confusi e disorientati; abbiamo l’urgente necessità della mediazione di Scanavino per poter scendere fino al sotteso livello della percezione, laddove un flusso ingestibile e ininterrotto di sensazioni scorre veloce e senza sosta, senza darci il tempo di comprendere, di capire cosa accade al di là della semplice apparenza.
Scanavino, con la complicità della sua pittura, ferma il tempo e ci trascina di peso nella dimensione ove abitano le nostre emozioni più profonde.
Con il “Trionfo della Morte” egli scardina, demolisce ogni modello di ordinarietà. Il Nostro è qui in grado di risalire all’έπιστήμη donandoci una preziosa e inedita combinazione per definire a fondo la realtà più invisibile, più inafferrabile. Egli rallenta gli eventi fino a immobilizzarli in modo da rivelare la dualità delle forze antagoniste che vi convivono.
Vita e morte. Tutto è ora dilatato, catturato nel pulsare impaziente della tensione estrema, appena prima del punto di frattura decisivo, solo un istante prima che una delle due spinte rivali abbia la meglio nella lotta. Tutto è ora fermo per poter essere contemplato dal pittore nella sua inusuale staticità, nell’espressività piena della dimensione atemporale.
Nel Trionfo della Morte la scelta dell’attimo da rappresentare è determinante; l’artista cattura il momento esatto; rappresenta l’istante in cui la battaglia tra la vita e la morte raggiunge il suo culmine espressivo, appena prima che la successione riprenda a correre alla velocità ordinaria. Egli fa proprio l’istante in cui la naturale sequenza degli eventi rallenta fino quasi a fermarsi completamente, per rinchiudersi in una sorta di parentesi temporale.
Il Trionfo della Morte è l’attimo in sospensione in cui lo scorrere lineare del tempo si arresta e l'evoluzione degli avvenimenti si comprime fino alla massima tensione, appena prima di ripartire per lasciarsi andare nuovamente alla veloce dinamicità della narrazione.
Questo è ciò che Scanavino dipinge nel “Trionfo della Morte”, artista unico che riesce a isolare dal contesto l'istante sospeso che precede l'incontenibile accelerazione che si avrà subito dopo, quando il tempo riprenderà la sua corsa scivolando inarrestabile nello svolgersi sequenziale e gerarchico degli accadimenti.
Mettendo a nudo e bloccando l’istante egli rivela il gioco sottile tra le spinte opposte che in esso risiedono, lo scontro perpetuo tra la vita e la morte.
Audacemente utilizza la seconda per mostraci tutta la grandezza e la preziosità della prima. Tanto più è trionfante la morte, ancor di più lo sarà la vita, perché comunque, alla fine del tempo concessoci, questa sempre trionferà.
Ogni passo del nostro cammino contiene questa primigenia dinamicità: la vita che combatte per non soccombere, perché possa continuare a lottare ancora nell’istante successivo, e così in eterno, fino alla fine dei tempi. Ogni nostro piccolo gesto compiuto porta con sé la sua epica vittoria, un’affermazione piena, totale.
L’esistenza di ognuno di noi è una collezione illimitata di successi eroici della vita, perché comunque, anche l’eventualità di una sua resa, sarà un trionfo che farà nascere nuove infinite possibilità. Nessun fiore appassisce mai su un ramo se non per dare vigore a un germoglio pronto a sbocciare, perché una nuova partenza è possibile solamente quando vi è una fine che gli lascia campo libero per esprimersi in tutta la sua spontanea ingenuità.
Il Trionfo della Morte quindi, altro non è che il trionfo totale della vita, nella visione inconscia, positiva e speranzosa di Emilio Scanavino, in cui l’affermazione di una qualsiasi delle due spinte contendenti crea l’occasione per l’ennesima rinascita, ancor più vivace, necessaria; e così fino al termine dei giorni.
Quest’opera è la celebrazione definitiva della vita; questa monumentale tela è il luogo simbolico dove l’attaccamento a essa si percepisce con una forza senza eguali. Perché per Scanavino il trionfo della vita ci consentirà l’accesso incondizionato a una dimensione sublime, spirituale e ultraterrena, ove l’eterna lotta tra forze antagoniste – finalmente – avrà termine, per lasciare spazio, una volta per tutte, alla pienezza della non conflittualità e dell’armonia.
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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota
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