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IL SORRISO DELLA GIOCONDA
di Giacomo Belloni
“Amanti, poeti, sognatori, vanno a morire ai suoi piedi. Né la disperazione né la morte cancelleranno dalla sua bocca beffarda il sorriso affascinante e implacabile che promette rapimento e nega la felicità” (Charles Clément, Michel Ange, Léonard de Vinci, Raphael, 1861).
“Dov’è la Gioconda?”. Questa è la domanda che al banco informazioni del museo del Louvre viene posta più di frequente. Secondo un’indagine condotta qualche anno fa, contro le 76 volte che tale domanda viene formulata, solo una volta viene chiesto dove si trovano la Venere di Milo o la Nike di Samotracia.
Dalle innumerevoli indagini messe in atto dalle varie istituzioni, dalle riviste specializzate, attraverso le tante interviste, la Gioconda risulta essere l’opera d’arte più famosa al mondo, nel museo più famoso del mondo. Dal 1797, anno in cui il capolavoro di Leonardo è stato portato da Versailles al Louvre, il suo destino è rimasto sempre indissolubilmente legato a quello del celeberrimo museo.
La Gioconda è l’opera d'arte sulla quale si è scritto di più, l’opera che ha ispirato poeti ed artisti a partire dalla seconda metà del XIX secolo - periodo in cui la Monna Lisa è divenuta l'immagine perfetta per l’interpretazione di un personaggio in grado di soddisfare le magiche ed appassionanti liriche del romanticismo.
Il quadro è di dimensioni contenute: settantasette centimetri di altezza per cinquantatre centimetri di larghezza - anche se è comunque il più grande tra i ritratti di Leonardo.
Il Louvre la classifica con il numero d’inventario 779 e, dal 1974, si trova in una apposita teca, saldamente ancorata al muro, protetta da due lastre di vetro blindato a tripla lamina, distanziate venticinque centimetri l’una dall’altra. Gemma preziosa, protetta e custodita come merita qualcosa di unico al mondo.
Si potrebbe scrivere sulla Gioconda anche solamente guardando le espressioni di meraviglia ed ascoltando i commenti degli spettatori che ne affollano lo spazio antistante e, a dispetto dei molti altri capolavori che le sono vicino, è lei ad attirare al Louvre decine di migliaia di visitatori ogni anno.
Egocentrica, accentratrice, come per una vera prima donna l’attenzione è tutta per lei, solamente per lei. Una delle norme del museo non permette che si formino gruppi di più di trenta persone davanti ad un solo dipinto ma, se si parla della Monna Lisa, la regola viene costantemente disattesa e messa da parte.
Ma cosa determina il valore artistico di un’opera?
Cosa ci fa dire con certezza che la Gioconda, piuttosto che un altro dipinto, è un capolavoro? Ci sono criteri assoluti per definire con certezza che un quadro è artisticamente migliore di un altro?
Non è sempre così semplice definire ciò che apparentemente sembra essere scontato.
Marcel Duchamp, uno dei più grandi geni dell’avanguardia del ventesimo secolo, l’uomo che aveva disegnato i baffi su una cartolina raffigurante proprio la Gioconda di Leonardo, durante un’intervista rispondeva così : “Quando vado a un museo non provo mai sorpresa, stupore o curiosità di fronte ad un dipinto…ai musei non vado quasi mai. Non sono stato al Louvre da più di vent’anni. E non mi interessa proprio a causa di questo dubbio che ho sui valori dei giudizi espressi da parte di coloro che hanno deciso che tutti quei quadri sarebbero stati presenti al Louvre invece di metterne altri, dei quali non si è mai parlato e che avrebbero benissimo potuto essere presenti”.
Il successo di un’opera è il prodotto complesso di un processo che ha luogo tra attori ben definiti: artisti, pubblico e mediatori. Artisti e pubblico, con desideri e aspettative, influenzati dal gusto culturale e dagli stereotipi diffusi, dai modelli dominanti e dalle consuetudini. I mediatori sono invece coloro che hanno a che fare con il mondo dell’arte quasi a margine, a volte sono addirittura nascosti, invisibili; ma sono figure fondamentali in questo complicato contesto. Sono gli storici dell’arte, i curatori, i direttori dei musei, i critici, gli scrittori e tutti coloro che di un’opera ne parlano, ne discutono, ne scrivono. Sono loro che permettono all’opera di uscire dal piccolo atelier dell’artista e ne consentono la visibilità e l'esposizione sul palcoscenico del mondo reale.
In verità ci sono tanti altri personaggi che determinano, spesso ingiustamente, il successo di un’opera: sono quei personaggi che orbitano impropriamente intorno al mondo dell’arte, spesso ibridandolo per finalità raramente nobili, mercantili; personaggi che ne influenzano strumentalmente i valori solamente in funzione delle proprie convenienze personali. Ma in questa sede di questi loschi non ne vogliamo parlare.
Nel caso della Gioconda non si è prescisso da questo meccanismo e, nel suo caso più di altri, tutti gli attori hanno giocato un ruolo fondamentale.
La sua fama è cresciuta nel tempo e l’alone di mistero che l’ha avvolta ed accompagnata passo dopo passo, ha contribuito in maniera determinante a farla diventare famosa. Tutto ciò che nei secoli si è detto, ciò che si è scritto, ciò che si è immaginato ha accresciuto pian piano la sua popolarità.
Nessuna opera come lei ha avuto condizioni così favorevoli per diventare tanto celebre.
Il mistero che la ha sempre circondata ha alimentato nel tempo una grande curiosità: l’incerta identità della modella sulla quale tanto si è scritto, la descrizione incompleta del Vasari, la figura di Leonardo, genio sregolato ed inconcludente, il furto al Louvre del 1911, la mancanza di documenti che ne attestino con precisione la data in cui è stata dipinta.
Non si è mai capito con esattezza da quando il quadro si trova in Francia; potrebbe essere stato portato dallo stesso Leonardo quando, nel 1516, vi si trasferì per operare alla corte di Francesco I, oppure potrebbe esserci arrivato dopo la sua morte, comperato dal sovrano francese da uno dei suoi eredi.
L’opera, inoltre, è profondamente legata al suo autore ed alla fama che egli ebbe nel secolo dei lumi. Gli ideali illuministi richiedevano all’uomo - e all'artista - una “conoscenza universale”. La separazione delle competenze è caratteristica dei giorni nostri, una necessità postindustriale; al tempo le discipline non erano separate, la conoscenza era tout court. Lo stesso Leonardo riteneva che la pittura fosse un’attività scientifica e come tale un'attività che necessitava della geometria e dell’aritmetica. Egli, in quanto pittore, scultore, architetto, ingegnere, progettista, ben vestiva i panni del genio.
Monna Lisa ci guarda direttamente, condizione inconsueta per il costume del tempo che vuole per la donna un atteggiamento più discreto, meno audace. Sembra volerci sfidare, risponde ai nostri occhi, ci guarda dall’alto, da una posizione di vantaggio. Sembra sapere ciò che noi non conosciamo, quello che invano cerchiamo.
E’ proprio questo suo sguardo che tanto ha fatto fantasticare scrittori e poeti inglesi e francesi nella seconda metà dell’800, quando la Gioconda ben si adattò a rappresentare la figura della femme fatale, donna attraente, pericolosa, nascosta dietro un misterioso sorriso.
Questa mangiatrice di uomini è spesso causa della loro rovina, intrappolati dal suo fascino diabolico, dalla sua bellezza sensuale e tentatrice.
Chi contribuì in maniera decisiva ad accostare il sorriso della Gioconda alla figura della femme fatale fu Théophile Gautier, scrittore e critico d’arte tra i più rinomati nella Parigi ottocentesca. Ossessionato dalla bellezza, Monna Lisa rappresentava alla perfezione tutta la sensualità che lui cercava nelle donne.
Con Gautier la donna cambia posizione nella scala sociale: da essere dominato diventa protagonista e dominante, non più la donna “vittima” come nel settecento, la donna ora è consapevole, presente con la propria bellezza, irraggiungibile fintanto che si manterrà distaccata attraverso la superiorità del proprio sorriso.
Non coinvolta ma coinvolgente, fatale per chi la guarda, carnefice di colui che cede alla curiosità, di colui che vuol sapere cosa si nasconde dietro il suo sguardo beffardo.
Prima dell’800 il suo sorriso non era stato notato, non aveva ispirato le fantasie degli intellettuali; prima delle passioni del romanticismo l’opera non era considerata così importante, era ritenuta un capolavoro, ma non l’icona della donna irraggiungibile e misteriosa.
La Gioconda diviene il simbolo della donna moderna e del suo processo di emancipazione, essere complesso, strutturato, autonomo.
Monna Lisa entra nel nuovo secolo, il ventesimo, e per merito dei mezzi di comunicazione diviene patrimonio universale. La sua fama è alta e viene inclusa in tutti i cataloghi insieme alle opere più famose. Cambiano i criteri espressivi, non è più richiesto il linguaggio ottocentesco tanto descrittivo, ampolloso e coinvolgente, le immagini parlano da sole, non servono più le descrizioni fantasiose. L’immagine della Lisa ottocentesca rimane radicata e consolidata nell’immaginario collettivo e diviene difficile sostituirla velocemente con un’immagine che rispecchi la donna del nuovo secolo.
Mentre nel periodo precedente, l’opera di Leonardo, appannaggio dell’élite culturale diviene patrimonio della cultura borghese, ora, nel nuovo secolo invade la cultura popolare.
Tanto si è scritto su cosa possa significare quel sorriso e, troppo si è voluto vedere.
Ciò che ci colpisce intimamente non è la fattura del dipinto, non è la posa contrapposta della modella, non è lo sfumato leonardesco, né il patrimonio storico culturale che la Gioconda si porta dietro da secoli.
Molte sono le sensazioni che ci legano all’opera, come tanti fili invisibili si tendono tra noi ed il quadro, emozioni leggere che impercettibilmente penetrano fino alle regioni più nascoste del nostro animo. Fili che fanno vibrare corde profonde.
Noi, distratti da un mondo di apparenze ci allontaniamo sempre più dalle nostre esigenze essenziali e invidiamo quel sorriso sincero.
Quello che veramente ci colpisce nella Gioconda è il suo stato d’animo, la quiete che traspare dal suo volto.
Nessuna femme fatale, nessun sorriso galante, nessuna bellezza consapevole, nessuna mangiatrice di uomini.
Lei sorride solamente perché è moglie e madre felice, donna realizzata nella spontaneità del suo ruolo e non vittima di ideali distorti e delle immagini eccessive di un mondo estremo.
Il suo sorriso è espressione di calma e di tranquillità, di pace interiore, espressione di colei che non ha bisogno di cercare altro perché quel che ha è bastante per sorridere così delicatamente.
Noi, disorientati e insoddisfatti, alla perenne ricerca di risposte, indaghiamo nella sua espressione cercando qualcosa estraneo a lei ed alla sua semplicità.
“ninfa dagli occhi scuri, agghindata come colei che l’Arte ha reso immortale. Splendida Monna Lisa, con i capelli intrecciati sulla fronte…” (Thomas Moore, Summer Fête, 1831).
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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota
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