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Berlino, la Porta ed il museo Hamburger Bahnhof
di Giacomo Belloni

“Il Tempo rimargina le ferite ma le cicatrici rimangono segni visibili, incancellabili tracce della storia sull’uomo”. (M.G. Torrengo).

Un solco profondo rimane invisibile ma percettibilmente impresso nella storia di Berlino. Se la storia con il suo passaggio lascia un peso diverso su ogni luogo, Berlino ne sostiene uno immenso. Percepiamo questa sensazione ogni istante durante il nostro passaggio tra le mura della città.
Mentre ci lasciamo trasportare dal flusso dei turisti , siamo accompagnati passo dopo passo da una profonda inquietudine. Un lamento sottile è il suo costante rumore di fondo.
Ci ritornano in mente le pellicole in bianco e nero che mostrano chi tentava di oltrepassare il muro, nel desiderio di riabbracciare la vita di un tempo. Se ogni luogo ha una propria colonna sonora, quella di Berlino è una musica malinconica, sottile e insistente, come a voler rimarcare che, quello che oggi è luogo di moderne architetture riflettenti, ieri era luogo di grigi impedimenti e tragiche privazioni.
Vero è che non sono sempre le barriere fisiche ad ostacolare il movimento. Ci sono muri invisibili e recinzioni mentali che impediscono di vagare fluidi nelle proprie potenzialità. Lo spazio non è mai quello visibile, ma quello che siamo in grado di sostenere. Ci sono costrizioni culturali che impediscono alla mente si spaziare convinti che le uniche direzioni di marcia siano quelle che vediamo con gli occhi.
Berlino ha bisogno di respirare, di cancellare le sue cicatrici, di eliminare il grigiore che la ha accompagnata per tanto tempo. Nessun muro, nessuna barriera: luce per le strade, palazzi di vetro che lasciano trasparire quello che c’è oltre, specchi che riflettono uno spazio che vuole estendersi all’infinito; solo superfici diafane e sottili membrane senza impedimenti.
Berlino è stata la città divisa, la città del muro. Berlino è stata la città dell’immobilità spaziale. Prima del crollo, il muro era l'icona più rappresentativa dell'alienazione di una città, di una nazione, di una cultura. Con la sua caduta la città si è ritrovata in un abbraccio tra la gente e la porta di Brandeburgo è diventata il simbolo moderno e pacifico della libertà dei popoli e dell'unione, non solo di Berlino, ma del mondo intero.
Ora che non ci sono più barriere fisiche la separazione rimane comunque visibile attraverso la risultante sociale che ha prodotto in oltre mezzo secolo; una linea rimane evidente, è il confine tra la ricca Berlino occidentale e la parte orientale che scopre giorno dopo giorno una nuova dimensione. Certo, nel centro della città ove i locali alla moda hanno preso il sopravvento, l’eredità del muro è meno evidente ma, basta spostarsi verso la periferia orientale per ritrovare i grigi casermoni fatiscenti ed il tipico paesaggio silenzioso dell’Europa dell’Est. Il muro non serviva solamente ad impedire il passaggio fisico ma proteggeva l’inadeguatezza di una società dall’invadenza dell’altra.
La porta di Brandeburgo è sicuramente il monumento più conosciuto della città, il simbolo dell’unità tedesca e l’emblema della pace. E’ uno dei simboli più rappresentativi della Germania tanto da essere scelta per essere raffigurata sulle monete della zecca tedesca.
Alta 26 metri e larga 65, la porta è composta da 12 colonne doriche in pietra che lasciano liberi 5 corridoi di attraversamento. Prendendo spunto dai propilei di Atene venne progettata e costruita nel 1791 dall’architetto Carl Gotthard Langhans, fu la prima struttura di ispirazione greca a Berlino e aprì il lungo periodo del neoclassico tedesco. Si trova al centro della Pariser Platz ed è la sola porta cittadina rimasta integra dopo la seconda guerra mondiale.
Circa due anni dopo la sua costruzione, nel 1793, venne aggiunta da Johann Gottfries Schadow la dea alata della vittoria sulla quadriga che la trasformò nel simbolo del potere prussiano.
La dea e i suoi destrieri si trasferirono per un breve periodo in Francia, quando Napoleone li portò a Parigi nel 1806 come bottino di guerra. Nel 1814, con la caduta dell’impero napoleonico, i prussiani la riportarono indietro ed aggiunsero la croce di ferro alla corona che sormonta l’asta tenuta in mano dalla dea.
Nel 1868 vennero aggiunti da Johann Heinrich Strack, ai lati della parte centrale, due basse costruzioni.
Durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale la porta venne miracolosamente risparmiata mentre i bronzi furono seriamente danneggiati; venne tutto prontamente restaurato tra il 1956 ed il 1958.
La sua imponenza ben si prestava come quinta per i raduni della DDR tanto da essere utilizzata spesso come fondale scenico a manifestazioni politiche fino al 13 agosto 1961, data nella quale la porta venne chiusa con la costruzione del muro e venne confinata in una sorta di “terra di mezzo”.
Il 22 dicembre del 1989, a seguito dei noti avvenimenti, la zona fu nuovamente aperta; la notte di Capodanno dello stesso anno la quadriga venne danneggiata per essere ancora restaurata nel 1991.
Passato, presente e futuro sono ben rappresentati dal museo di arte contemporanea della città, l’Hamburger Bahnhof. Costruito sul passato, sulle rovine della stazione da cui partivano i treni diretti verso Amburgo, dalla quale prende il nome, il museo vuole essere il luogo che vive e cresce insieme ai suoi visitatori. I concerti, gli incontri con artisti, le performance ed i dibattiti fanno dell’Hamburger Bahnhof uno specchio sensibile del post-moderno, non solo contenitore dove conservare e salvare i beni culturali, ma luogo di produzione pulsante, spazio dove si possono vivere nuove ed inedite sensazioni. Oltre l’esposizione infatti, nel museo, ci sono sale semivuote, come quella illuminata dall'installazione al neon di Dan Flavin, apparentemente senza senso ma con l’intenzione di trascinare il visitatore in una dimensione nuova.
Come la vita è un processo di continuo cambiamento, l’Hamburger Banhof è museo in evoluzione, nuove possibilità si aprono per crescere insieme allo spettatore. Non vuole essere uno spazio fermo e statico ma invita all'introspezione e alla critica senza essere unicamente il tempio del bello. Non più museo tradizionale con le opere d’arte appese ai muri, l’intenzione è quella di lavorare sul modo in cui gli spettatori guardano; l'ambizione dell'Hamburger Bahnhof è quella di consentire uno sguardo sulla produzione artistica e al tempo stesso proporre un chiaro percorso di percezione.
Il museo è nato per soddisfare la necessità di fornire uno sfogo adeguato alla collezione delle opere d’arte contemporanea della Neue Nationalgalerie; negli anni '80, il famoso edificio di Mies van der Rohe, presso il Kulturforum, si rivelò insufficiente a contenerle. Si impose pertanto l'esigenza di creare un museo apposito ove esporre i capolavori più recenti.
Inaugurato nel novembre 1997, il complesso è stato ristrutturato dall’architetto Richard Paul Kleihues. L’area espositiva è di circa 10.000 metri quadrati ed è interamente dedicata all’arte contemporanea dal secondo cinquantennio del ventesimo secolo fino ai nostri giorni. Comprende vasti spazi, sia per la raccolta permanente che per allestire mostre temporanee oltre a strutture in grado di offrire servizi per il pubblico e per gli studiosi.
La collezione offre le opere provenienti dal Staatliche Museen zu Berlin (National Museums di Berlino) e comprende i capolavori di molti artisti tedeschi dell'ultimo trentennio e di molti grandi autori europei e nord-americani. Il contributo decisivo è dato soprattutto dalla famosa collezione dell'imprenditore Erich Marx.
Il piano terra dell’ala orientale è dedicata ai lavori di Joseph Beuys; oltre ai 450 disegni la collezione include alcune tra le sue più famose installazioni come "The End of the 20th Century" del 1982, "Unschlitt/Tallow" del 1977, e "Richtkräfte" del 1974.
Tra le altre opere del museo figurano molti capolavori dei principali autori della Pop Art americana come Rauschenberg, Warhol, Lichtenstein e Wesselmann, le opere di Cy Twombly (al quale è dedicata un’intera sala), di Anselm Kiefer e della transavanguardia italiana.
Un settore di particolare interesse è la raccolta dei video e delle installazioni multimediali.
L’antico e il moderno, il passato ed il presente sono i presupposti necessari da tenere sempre in considerazione perché una città cresca consapevolmente senza il timore di ricadere negli stessi errori; si può costruire il nuovo solo se non si dimentica il vecchio. La porta di Brandeburgo con la sua memoria consegna al futuro la storia di Berlino. Oggi, aperta al passaggio, si lascia attraversare dai pedoni e dallo sguardo, offrendo agli occhi le architetture futuristiche e alla sensibilità l’ottimismo del moderno.
Tutto rimane però pervaso dalla temporaneità, il passato non si dimentica. Tutto è in bilico, un senso di precarietà avvolge impietoso le terse atmosfere della città in evoluzione. Questo senso del provvisorio è stimolante e, forse addirittura liberatorio per il visitatore.

"Berlino è una giovane e infelice città del futuro. La sua tradizione ha il carattere del frammento". (Joseph Roth)


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