Articolo pubblicato su l'Aperitivo Illustrato
_________________________________________________________________
OLTRE OGNI DOVE.
PAESAGGI SILENZIOSI, LUOGHI INTIMI DELLA MEMORIA
di Giacomo Belloni
Solamente pittura, null’altro che pittura
Pittura su tela, pittura su tavola.
Colori e forme. Superficie e materia.
Piani discontinui che si sovrappongono in stratificazioni inattese. Orizzonti confusi, spesso inesistenti.
Macchie pulsanti, linee vibranti, materia evanescente.
Solamente pittura. Null’altro che pittura.
Figurazione o astrazione? Niente di tutto ciò. Di sicuro non possiamo classificare gli ultimi lavori di Giuliano Giuliani tra queste categorie, troppo normali, troppo generiche e dispersive.
Nei suoi paesaggi, Giuliani, non vuole rappresentare null’altro se non le sue emozioni, le sue sensazioni più vere.
Nessuna referenza conosciuta, solamente percezione. La sua pittura è l’immagine esteriore di un travagliato percorso interiore.
Arte come necessità, per il pittore che la fa e per chi – fortunato - ne fruisce.
I paesaggi silenziosi di Giuliani sono luoghi astratti, luoghi conosciuti solamente nell’intimità e ritrovati, riscoperti nella materialità dell’opera: i paesaggi silenziosi descrivono i luoghi dove il pensiero non si è ancora strutturato, dove il ragionamento ancora non si è organizzato.
Luoghi dove nulla ancora è divenuto evidenza riconoscibile, laddove il linguaggio ancora non si è impadronito della sensazione per poi trasformarla in discorso ordinato e distinguibile.
Nessuna referenza comune, solamente paesaggi metafisici riconosciuti dalla capacità innata di un osservatore capace di provare emozioni profonde.
Paesaggi assoluti che permettono di riscoprire i luoghi che sono oltre la dimensione corporea, oltre gli spazi consueti ai quali siamo comunemente abituati. Oltre qualsiasi orizzonte, paesaggi presenti solamente in una realtà che va oltre il sensibile.
Qui, nei paesaggi di Giuliani, il pittorico restituisce le sensazioni dimenticate del luogo lontano, del luogo che è oltre.
La tela riporta alla luce dimensioni sopite, interiorità percepite, immaginate e non osservabili se non tramite l’opera dell’artista, con la forza della memoria e la potenza del ricordo.
La vista con la quale osserviamo questi paesaggi metadimensionali è solamente il mezzo d’accesso alle sensazioni che si ritrovano nelle più recondite profondità, perché i paesaggi silenziosi sono osservabili solamente se guardati con gli occhi dell’anima.
Paesaggi silenziosi, ricordi ritrovati.
Noi alla ricerca di noi stessi. Noi nella pittura.
L’opera diviene poesia quando, nel sottile gioco del completamento estetico, si ritrovano le pedine mancanti che stavamo cercando, indispensabili per ricomporre il puzzle visivo che costituisce l’interiorità in tutta la sua complessità; noi, confusi e complicati universi esclusivi.
Complessità inspiegabili se concepite solamente attraverso il mondo apparente, quello analizzato con gli occhi, superficialmente selezionato dalla vista.
“Non ci sarebbe nulla di strano”, ribattei, “perché certe persone dalla vista più debole vedono molte cose prima di altre dalla vista più acuta”. (Platone, La repubblica).
Totalità vuol dire percezione completa dell’intero, vuol dire emancipazione dal visivo per lasciar spazio ad una antica concezione che vede coinvolti tutti i sensi in maniera paritetica.
Il mondo osservato è solamente illusione, apparenza e incompletezza.
“Ora fa’ questa considerazione: qual è lo scopo della pittura verso ogni singolo oggetto? Imitarlo come è in realtà o come appare? Insomma, è imitazione dell’apparenza o della verità?”. (Platone, La Repubblica).
Udito, tatto, olfatto, gusto e, naturalmente, vista. Questi sono i sensi necessari per la corretta e completa osservazione di queste opere.
Il colore ha sapore e la materia diviene tattile, epidermica. Le forme si ascoltano e l’opera diviene esperienza percettiva completa, meritevole di essere vissuta in tutta la sua pienezza, con tutta la sua capacità di emozionare, solamente per chi è capace di provare profonde emozioni.
Soltanto considerando l’opera come esperienza comprendiamo l’arte di Giuliani in tutte le sue sfaccettature; unicamente così essa può divenire terapeutica, curativa, necessaria per scoprire le incompletezze, per ritrovare quei pezzi che mancavano per ultimare il quadro completo della nostra totalità, così invisibile se cercata solamente attraverso gli occhi. Disagi e sofferenze derivano dall’incapacità di comprendere appieno la realtà apparente che impropriamente consideriamo completa perché interpretabile solamente per mezzo della vista.
Il mondo è illusione, null’altro che illusione.
Siamo troppo abituati ad affidarci ai nostri occhi; diamo per scontato che quello che vediamo è ciò che effettivamente è, che ciò che esiste è quello che esteriormente appare. Ma il mondo sensibile non è fatto solamente di materia: questa è sempre osservabile, le emozioni che essa ci propone, no.
La musica non è visibile eppure esiste.
Viviamo osservando il mondo invisibile.
Quello che si trova davanti a noi scompare, non c’è, non c’è mai stato.
La cornea è piatta. La luce impressiona l’occhio come una superficie piana, nulla più di forme confuse e colori riflessi sulla superficie dell’occhio. Solo l’esperienza è capace di interpretare le macchie per restituire un’improbabile profondità di una contingenza irreale.
I paesaggi silenziosi di Giuliani non ripropongono ciò che ingenuamente crediamo di conoscere.
La dimensione che ci offrono è fuori dallo spazio e dal tempo.
Eternità sospese in istanti che durano per sempre, cristallizzati sulla superficie dell’opera.
Dinamiche della memoria, meccanismi della mente.
I paesaggi di Giuliani esistono sì, ma da un’altra parte, altrove, in altri posti, in tutti i luoghi tranne che qua; superfici a mezz’aria che svelano il mistero di un mondo inconscio, di un’idea riflessa senza mediazioni sulla tela.
La pittura di Giuliani è pittura intellettuale.
Là dove termina il gesto virtuoso comincia la citazione colta.
Dalle sue opere è chiaramente percepibile la sua matura personalità creatrice che si muove indifferentemente tra Matisse e Rothko, tra De Kooning e Mattioli.
Le stratificazioni dei paesaggi sono contaminate da insistenti sovrapposizioni di materia, velature di colore che ricoprono ripetutamente altra pittura.
L’effetto finale è un tripudio di gradazioni tonali, di trasparenze e di infinite sfumature, leggibili solamente dall’occhio dello spettatore attento; colui che, distratto, non si sofferma a godere delle sensibili gradazioni cromatiche e tonali, delle delicate trasparenze, non comprende l’intenzione dell’artista e tutti i suoi tentativi nel volerci proporre l’intera complessità della percezione.
I suoi paesaggi sono da scoprire nello scorrere tempo, strato dopo strato, pennellata dopo pennellata.
Solamente lasciando da parte la velocità di lettura alla quale siamo costretti dai ritmi contemporanei, possiamo valutarli nella loro essenza ed assaporarne la calma e la tranquillità dei momenti sospesi che ci propongono.
Per Giuliani lo spazio senza tempo non esiste, così come il tempo senza spazio; sono entità inscindibili e inseparabili.
“Non c’è spazio senza tempo, non c’è tempo senza spazio. Qui, con questo spazio dipinto, dilatato su piani distinti, ho recuperato la misura del tempo”.
Tanto vale per la creazione, vale per la fruizione. Lo spettatore scopre l’opera lentamente, ridimensionando la velocità della vista per riappropriarsi della lentezza della sensibilità.
Il quadro finito non è quindi mai il soggetto del suo fare ma solamente una conseguenza, il mezzo per raggiungere lo scopo.
La bidimensionalità della superficie non vuole suggerire alcuna finzione tridimensionale ma una multidimensionalità percettiva. I suoi luoghi, disposti spesso su piani sovrapposti, non sono singole opere nel quadro ma, tessere di una continuità lessicale che può essere letta solamente come un insieme unico.
L’albero solo, simbolo della solitudine
“Dipingo la mia solitudine, dipingo la disperazione di tutti coloro che si sentono soli nella moltitudine. Dipingo l’assenza tra le presenze invisibili. Dipingo la presenza utilizzando l’assenza”.
L’albero come metafora dell’isolamento, simbolo della solitudine dell’uomo, icona della solitudine dell’artista.
L’albero sperduto nel paesaggio nebbioso, affogato nella foschia che tutto avvolge e che nasconde l’evidenza, foschia emblema dell’incapacità di orizzontarsi.
Non ci sono figure umane, nessun movimento, solamente l’incoerenza di un’assenza forte, di un’assenza presente. Solamente un albero a testimoniare la sofferenza di colui che è solo, nell’invisibilità dell’abitudine e del consueto, colui che non riesce più a orientarsi nella ricerca della comprensione di se stesso.
Il quadro “Solitudine” comunica, e non solo didascalicamente, il dramma comune, il leitmotiv di tutto questo ciclo di opere.
Chi lo conosce sa che Giuliani è un artista che ama la compagnia degli altri. E’ uomo tra gli uomini in ogni istante della propria vita, tranne che durante l’intimità dell’atto creativo, che diviene volutamente momento d’isolamento personale, momento di pura e assoluta concentrazione.
Ma non è mentre dipinge che la solitudine si fa strada, che trova spazio. La solitudine che vuole dipingere Giuliani è quella provata dall’essere vivente in mezzo agli altri esseri, è quel senso d’impotenza che si realizza solo quando ci si trova in mezzo al gruppo.
E come l’urlo drammatico nel frastuono, il grido a squarciagola che finisce per essere silenzio disperato.
Questa è la solitudine dell’albero solo di Giuliani; è l’urlo è azzittito dalla morbidezza della foschia e dalla lontananza di uno spettatore esterno all’opera, presente solamente nella limpida e tersa dimensione dell’osservazione.
I titoli dipinti
Le opere di Giuliani sono sempre accompagnate da una scritta, da una frase che finisce inevitabilmente per divenirne il titolo. Piccole liriche nell’opera che la accompagnano caratterizzandone fortemente il percorso espressivo.
Le sue frasi sono la continuazione di un messaggio visivo che si vuole completare su un differente piano della percezione.
La superficie dell’opera diviene spazio metalinguistico per una comunicazione a più livelli.
I titoli di Giuliani, come direbbe Susan Sontag, sono le citazioni che
stabiliscono [con l’opera] un rapporto aleatorio e intuitivo, un po’ come le parole e i suoni di John Cage s’accoppiano, nel momento della rappresentazione, ai movimenti di danza precedentemente coreografati da Merce Cunningham.
I suoi titoli devono essere immediatamente leggibili, non è consentita alcuna confusione. Sono dipinti in carattere stampatello perchè non ci siano fraindimenti, devono essere inequivocabili. Giuliani li dipinge con un normografo per evitare che qualcosa si perda nella comprensione, interrompendo la fluidità della fruizione diretta.
D’altra parte però non è permesso al titolo di apparire sovrapposto o estraneo. Il colore è lo stesso dell’opera, simile a quello del paesaggio per risultarne parte integrante.
Pittura sulla pittura, come tutto il resto.
Solamente pittura, null’altro che pittura.
_______________________________________________________________________________________
NOTA BENE: ARCHIVIOARTE non ha alcun fine di lucro. Ogni proposta qui contenuta ha la sola finalità di promuovere la diffusione dell'arte in quanto considerata patrimonio di tutti e per tutti. Ogni iniziativa, ogni azione ed ogni pubblicazione è autoprodotta e diffusa unicamente per amor di cultura e per il convincimento che la sua condivisione ci possa rendere più ricchi spiritualmente e più liberi.
Nulla di quanto qui pubblicato ha contenuti politici.
_______________________________________________________________________________________
"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota
_______________________________________________________________________________________