Articolo pubblicato su l'Aperitivo Illustrato

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ACHILLE PERILLI. Astrazione come essenza; perché la verità è sempre sintetica.
di Giacomo Belloni


E’ passato quasi un secolo da quando a Pietrogrado, Kazimir Malevič, insieme al poeta Majakovskij, presenta il manifesto del Suprematismo e dipinge la sua Composizione suprematista: bianco su bianco, o da quando Piet Mondrian scriveva: la Natura mi ispira […] voglio arrivare più vicino possibile alla verità e astrarre ogni cosa da essa, fino a che non raggiungo le fondamenta. Sono trascorsi circa cento anni da quando, nell’ottobre del 1917, Theo Van Doesburg fonda nei Paesi Bassi la rivista De Stijl e, proprio insieme a Mondrian, il movimento del Neoplasticismo la cui arte è astratta, essenziale e geometrica e basata sulla creazione di forme pure e bidimensionali.
Un secolo d’astrazione. La voglia di utilizzare nuove figurazioni per descrivere una realtà cosciente del valore dell’individuo in quanto essere complesso ed articolato, per rappresentare la voglia di ricominciare; arte finalmente liberata da finalità esclusivamente pratiche ed estetiche. L’Astrattismo è il nuovo inizio, un grado zero che tiene conto di un mondo in rapido cambiamento, profondamente deluso dal passato ma consapevole delle capacità dell’uomo di sperimentare nuove soluzioni non più inutilmente sottomesse a rappresentazioni non necessarie, ma un’arte finalmente fine a se stessa.
Un percorso nobile e complesso, contorto, spesso contestato o controverso, quasi sempre sincero come lo è la
verità se proviene da un’essenzializzazione, processo necessario per l’eliminazione di un superfluo accecante ed ipocrita.
Che valore ha la pittura astratta se eseguita ai giorni nostri? Che senso ha riproporre gli stessi schemi artistici che venivano alla luce un secolo fa come logica conseguenza dell’evoluzione del pensiero e delle sensibilità, a seguito di fatti ed eventi relativi ai tempi in cui nasceva? Quanto l’astrattismo è necessario o adatto a significare la realtà di oggi? Queste domande sul valore dell’arte astratta ai giorni nostri vogliono trovare una ragione per la quale i suoi presupposti, anche se non più gli stessi che la hanno caratterizzata agli albori, assumono nel ventunesimo secolo connotazioni pertinenti e rispondenti. Forse oggi ancor più che in tempi passati.
Gli ultimi lavori di Achille Perilli sono quanto di più contemporaneo si possa osservare nel panorama artistico odierno. Opere solo apparentemente semplici, in realtà sunti eloquenti del percorso complesso di uno tra i più importanti esponenti dell’astrazione italiana; percorso che parte dal lontano secondo dopoguerra del secolo scorso e che continua attraversando con decisione tutte le avanguardie successive, per assumere una rinnovata vitalità oggi, proprio con gli ultimi lavori.
Un ragazzo del ’27 Achille Perilli, giovane nelle idee e nell’energia che con forza fuoriesce incontenibile dalle sue tele recenti, proprio come quelle presenti oggi alla 54° Biennale di Venezia.

Per noi la forma, per la sua appartenenza alla realtà, è considerata nel suo ambiente, quindi l’interesse plastico per lo spazio e la luce, per gli astrattisti al contrario la forma ha un valore in sè, senza porre un’ambientazione di questa, estraendola quindi da ogni problema spaziale e luministico. Queste le parole utilizzate da Perilli nel 1947, anno in cui l’esperienza di Forma prendeva consistenza e si materializzava per divenire uno dei più importanti movimenti che la storia artistica del nostro paese possa vantare. Astrattismo come essenzializzazione del contesto: nel nostro lavoro adoperiamo le forme della realtà oggettiva come mezzi per giungere a forme astratte oggettive. Anche se prima di arrivare alle scarne geometrie di tempo ne è passato: è stato necessario eliminare i legami con la cultura figurativa che permeava l’avanguardia del dopoguerra. Per Perilli la forma, comunque, appartiene alla realtà, ne fa pienamente parte, è considerata solo nel suo ambiente; da qui è prelevata per essere analizzata attraverso un complesso percorso che la restituisce tersa e sintetica sull’opera compiuta. L’ambiente è la sua condizione di esistenza primaria e basilare, per cui se le forme non gli appartengono, non gli interessano. Esse mantengono in loro il soggetto di partenza, da cui si procede per progressive semplificazioni astratteggianti (Caramel).
Le forme della realtà oggettiva come mezzi per giungere a forme astratte oggettive.
Perilli parte da una situazione reale, vera, esistente. Non è mai interessato alla forma in quanto tale se non derivata da un contesto di appartenenza.
La fase percettiva, quella nella quale egli fa proprio l’ambito che poi trasferisce sull’opera, diviene fondamentale. Tutti gli impulsi che gli provengono dal mondo percepibile sono analizzati, vagliati e filtrati attraverso i sensi in modo da divenire informazioni da immagazzinare e da riutilizzare nell’atto creativo. Per chi, come me, ha la fortuna di conoscerlo sa che Perilli, ragazzo del ‘27, ha una mente acuta e rapida. Attento osservatore non si perde nulla di ciò che passa davanti al suo sguardo requirente e profondo, capace di analizzare tutto con velocità fuori dal comune. La realtà gli scorre davanti agli occhi come una pellicola veloce, come un film che lo stimola di continuo, senza sosta. Lui osserva tutto estraendone gli elementi rappresentativi che diverranno le strutture geometriche, ma solamente dopo una sapiente selezione.

Si sintetizza il mondo per renderlo gestible e per riuscire a mantenere una linearità di controllo, un giusto equilibrio affinché non ci si smarrisca in una confusione irrisolvibile
(Belloni, 2010).

La pittura, unica tra le arti, è il solo medium capace di raccogliere le informazioni in una schermata di semplice visione, fortemente riassuntiva, concentrata come lo è la
verità. L’opera è un compendio, il risultato finale dell’operazione artistica effettuata dall’artista. La verità, comunque la si metta, è sempre sintetica e per arrivare ad essa si compie un percorso per il quale si rende necessario scremare ed eliminare tutto ciò che l’abitudine dissimula, tutto quello che la cela nella complessità e nella opulenza del mondo. E’ fondamentale spogliare la realtà dall’apparenza e dissolvere la fuliggine che la ricopre. Per Perilli questo percorso consiste in un articolato lavoro di ripulitura e di sintesi, fondamentale per mantenerne solamente l’essenza primaria, una verità.
Se partiamo dall’assunto che l’apparenza nasconde e che una sua relativizzazione consente di assumere nuovi sorprendenti punti di vista, allora possiamo affermare che la funzione dell’opera di Perilli è quella di mostrarci ciò che più si avvicina, appunto alla
verità.
Egli è pittore contemporaneo perchè ha la capacità di mostrarci attraverso i suoi lavori la contemporaneità. Non ha mai paura di rischiare consapevole che, rispetto al passato, per dipingere il nostro tempo è fondamentale comprendere che le complicanze vanno espulse, rigettate, estromesse, perchè incapaci di fornire soluzioni percorribili e rispondenti.
Oggi tutto scorre con altre velocità ripetto al passato e nel suo convulso procedere si perde la possibilità di fruire della complessità, perchè nella velocità non tutte le informazioni vengono catturate, fatte proprie, elaborate; alcune ricevono un consenso cosciente mentre altre vengono registrate senza che l’attenzione nemmeno si accorga della loro esistenza. Forme e colori scorrono rapidi intorno a noi con un dinamismo superiore alla nostra conscia capacità ricettiva. Selezioniamo solamente le informazioni determinanti, quelle necessarie per la sussistenza di base, mentre le altre, quelle meno importanti, scivolano via come la pioggia su un piano inclinato. Quello che rimane è l’essenza, la
verità necessaria, unica meritevole per essere riportata sulla tela.

L’opera di Perilli cela dietro la sua immagine tutto il complesso itinerario della creazione esperta, percepibile attraverso l’interpretazione di un complesso gioco di rimandi sottesi, reso facilmente fruibile proprio perché schematizzato in una singola immagine, e come tale apparentemente semplice da leggere ed interpretare. Semplice come lo sono i riassunti visivi per chi è abituato ad utilizzare la vista come senso percettivo dominante.
Nelle sue opere le sue forme sono regolari, geometriche, rettilinee, lineari. I suoi colori sono forti, accesi, puliti, morbidi.
Le sue strutture colorate (e che colori!) hanno - uniche in pittura - la capacità di restituire all’osservatore sensazioni che vanno ben oltre la visione - perchè il risultato dell’opera deve oltrepassare il codice comune d’interpretazione - per mezzo della coesistenza della sensazione ottica e di quella epidermica. Se ne può sentire tutta l’essenza sulle mani, sui polpastrelli. Vi è in Perilli una commistione magica tra tattile e visivo che non vuole solamente restituire simbolicamente all’interlocutore il colore in quanto tale, nella sua accezione più elementare. Ecco allora che i suoi rossi divengono lanosi o setosi, mentre i suoi gialli emanano un tiepido calore; i blu sono morbidi, soffici, avvolgenti, mentre i suoi verdi sono duri, robusti e umidi, come fossero bagnati. Per non parlare degli arancioni esplosivi, squassanti e del suo nero, quasi caravaggesco, così profondo ed intenso da divenire così evanescente da far dimenticare la sua presenza, facendo sì che le forme geometriche galleggino in sospensione, quasi non ci fosse alcun fondo.
E poi il
bianco. Dopo anni di assenza , a partire dal 2010, eccolo nuovamente il fondo bianco. Colore dal quale ripartire per un altro ciclo entusiasmante; ancora un nuovo inizio, come voleva esserlo il bianco su bianco suprematista. A 84 anni Perilli riparte senza timori, ma con la forza di chi è pienamente consapevole delle proprie possibilità. Bianco è il fondo di una delle due grandi opere presenti in Biennale (Il teatro dell’arsura), a segnare finalmente una presenza che interrompe un silenzio che si è fatto sentire, fin dal 1968, anno dal quale Perilli manca appunto da Venezia. Un silenzio imbarazzante che qualcuno dovrebbe prendersi la responsabilità di spiegare.
Artista come pochi Perilli, nella sua lunga carriera di intellettuale - come dice Lucia Latour, mia ineguagliabile professoressa all’università e sua moglie:
uno dei pochi artisti colti che il panorama italiano possa vantare - ancor prima che pittorica, si distinguono cicli sempre differenti, sempre stupefacenti ed affascinanti, tipici di chi ha avuto, sempre e più volte, la voglia e l’energia di ricominciare da capo e di rinnovarsi. Lo ha fatto senza timore alcuno, ripartendo da un punto zero - dal bianco - forse proprio come Malevič.
Perilli non va in Biennale con le opere degli anni 50 o con quelle degli anni 60, non presenta opere del passato: nessun fumetto, nessun aquilone, nessuna geometria impossibile. In Biennale nessuna retrospettiva, nessuna antologica. Non si ha alcun bisogno di ricordare chi è stato Perilli per l’arte italiana degli ultimi 65 anni. Egli presenta a Venezia le opere nuove, quelle del 2011, a testimoniare con immutato vigore che Perilli è artista contemporaneo, lo è da sempre. Ed oggi ancor di più.


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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota
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