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La fotografia emozionale di Chiara Caselli
di Giacomo Belloni
Sul catalogo della 54°Biennale di Venezia Niccolò Ammaniti ha definito Chiara Caselli un gatto per quella sua capacità istintiva di arrivarti dietro le spalle silente, inaspettata, e di riuscire a ritrarre con la sua macchina fotografica i particolari di un mondo invisibile all’occhio disattento, un mondo che era sempre stato lì, […] ci eri passato davanti e lo avevi visto senza vederlo. Chiara cattura spezzoni di un’apparenza scontata, per noi inafferrabile e solo marginalmente avvertibile a causa della nostra abitudine a considerarla una normale evidenza. Lei riesce a trasferirla sulla pellicola, insieme a tutta la poesia di un mondo esasperato, consumato e ostile, che viene reso da lei lirico e soave.
Le sue immagini sono frammenti veloci, discretamente rubati, dai quali è stata rimossa la pesantezza di una contingenza faticosa per lasciar spazio a una leggerezza consolante e tranquillizzante. Tutto quello che gravava è stato scartato, eliminato e annullato, è rimasto solamente l'essenziale insieme a quelle poche tracce necessarie per riconoscerne l'autore, per poter affermare inequivocabilmente "Chiara è stata lì, in ogni scatto, in ogni gesto, a partire da quello della scelta del soggetto; Chiara è stata lì, dall'altra parte dell'obiettivo".
Le sue fotografie svelano un mondo inaspettato, inconsueto, restituito in immagini facilmente osservabili. Quello che lei ritrae era già lì, nella sua forte presenza, nello scorrere inesorabile del tempo che lo avvolge, fermo o in movimento era comunque già davanti ai nostri occhi senza che noi, fino a quel momento, avessimo avuto la capacità di accorgercene. Chiara invece lo ha visto ed è riuscita a catturarlo, lo ha ripulito di ogni inutilità in un solo istante - quello dello scatto - e ce lo ha restituito nella sua forma espressiva più sincera.
Rimane il dubbio se nel processo creativo lei aggiunga qualcosa, se la sua sensibilità diviene il valore che si unisce all'immagine arricchendola o se, per sottrazione, lei elimini un superfluo che inquina, che rende il reale ostile e avverso. Il risultato di questa sofisticata operazione poietica sono le sue fotografie, opere dalle quali non sarebbe possibile né togliere né aggiungere nulla, fotografie che non potrebbero essere quelle di nessun altro, perché il suo scatto lascia un'impronta inconfondibile, personalissima. Lei ferma sulla pellicola una verità inequivocabile, risultato finale della scelta inconscia dell'istante esatto in cui scattare e quella meditata del soggetto da cristallizzare; e se nel suo scorrere il tempo è tiranno (Roland Barthes), Chiara lo congela nel suo momento più eloquente, lasciando a noi la tranquillità necessaria per osservare senza fretta, restituendoci finalmente il tempo necessario per guardare senza le costrizioni del suo scorrere frenetico. Ecco quindi che il reale si svela e mostra tutta la sua precarietà; attraverso l'atto creativo libera la sua apparenza, lasciandone sul piatto soltanto la sua effimera essenza.
Chiara si nasconde dietro l’obiettivo fotografico che diviene per lei un caleidoscopio capace di modificare la realtà a piacimento, a propria immagine, rendendola sicura ed accogliente, finalmente ospitale. La macchina fotografica si trasforma in una bacchetta magica da utilizzare ogniqualvolta ci sia qualcosa da cambiare in meglio, da ripulire, da rendere colorato, ideale; l'obiettivo si adatta docile alla sua perizia, mezzo necessario per elevare un’apparenza comune ad una dimensione superiore.
La macchina fotografica è un'estensione protesica, indispensabile strumento di esistenza e d’intermediazione col mondo, rifugio meccanico contro tutto ciò che le è contro, filtro dell'inutilità e schermo contro i pericoli.
Il risultato della sua operazione artistica sono i suoi lavori, specchi dalle mille sfaccettature nei quali riflettersi, ritrovarsi, riscoprirsi e finalmente rinascere. Oltre ad un gatto infatti Chiara ricorda una libellula, proprio per quel suo essere discreta ma profondamente libera, rapida e dolcemente sibilante, ma soprattutto per essere sempre alla ricerca di una superficie su cui riflettersi, come lo è uno specchio d'acqua, uno stagno, e insieme alla sua immagine restituire la rappresentazione di mondo colorato, quello cha ha dentro. Questa è la dimensione che lei cerca per poter rinascere, esattamente come l'immagine centrale del suo pannello della Biennale. Lei si identifica in quella figura che, come una sindone leggera si eleva e si scioglie dopo il travagliato cammino simboleggiato dalla danza nel buio delle figure laterali che convergono verso l'immagine centrale, laddove finalmente raggiunge la serenità.
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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota
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