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Neuroni a specchio e simulazione incarnata. Azioni, emozioni e sensazioni
di Giacomo Belloni
Le reazioni fisiche degli osservatori sembrano localizzarsi precisamente nelle parti del corpo minacciate, oppresse, bloccate o destabilizzate nella raffigurazione. Inoltre, l’empatia fisica si tramuta facilmente in sentimento di empatia emotiva per i modi in cui il corpo viene danneggiato o mutilato.
David Freedberg e Vittorio Gallese ci offrono un esempio concreto di interdisciplinarità avvicinando due campi apparentemente distanti, come la storia dell'arte e le neuroscienze, e individuando una stretta correlazione tra il movimento corporeo e l'emozione psichica.
Il punto di partenza è la scoperta - tra gli anni 80 e 90 del ventesimo secolo - dei neuroni a specchio, nella corteccia parietale posteriore nei macachi e negli uomini.
La scoperta offre un'importante base scientifica per la comprensione di ciò che le immagini provocano nella mente e nel corpo di chi le osserva. La loro percezione attiva alcuni circuiti neuronali che sono gli stessi che si mettono in modo nel caso fosse l'osservatore a compiere l'azione mostrata, provocando in lui le medesime emozioni, non solamente psichiche, ma anche muscolari.
L'empatia è quindi una simulazione incarnata a livello precognitivo.
Scrivono Freedberg e Gallese: la nostra ipotesi è che l'elemento cruciale nell'apprezzamento estetico consista nell'attivazione di meccanismi incarnati in grado di simulare azioni, emozioni e sensazioni corporee, e che questi meccanismi siano universali.
Nelle loro indagini mettono a lato l'aspetto artistico - che sarà comunque un'inevitabile conseguenza - per concentrarsi sui meccanismi empatici che si accendono per mezzo della sola visione, ossia la simulazione incarnata (embodied simulation), dinamiche che mettono in moto la stessa area celebrale che si attiverebbe in chi esegue l'azione mostrata.
L'immagine dell'azione, nella corteccia cerebrale di chi guarda, scatena un meccanismo funzionale attraverso cui le azioni, emozioni e sensazioni che vediamo attivano le nostre rappresentazioni interne degli stati corporei associati a quegli stimoli sociali, come se vivessimo la stessa azione, emozione o sensazione.
Si ipotizza che le emozioni trasmesse da un'opera d'arte attraverso la tensione muscolare e le espressioni facciali dei suoi protagonisti si riflettano nella corteccia cerebrale degli osservatori. (Elena Dusi)
Vengono quindi portati a sostegno alcuni esempi: i Prigioni di Michelangelo dove l'osservatore si sente coinvolto fisicamente, con l'attivazione degli stessi muscoli sollecitati nell'opera, le aree motorie che corrispondono ai muscoli tesi [...] si attivano guardando i giganti che cercano di divincolarsi dalla pietra (Elena Dusi); i Disastri della guerra di Francisco Goya, in cui le reazioni fisiche si localizzano negli stessi punti dei corporei martoriati nelle immagini e i circuiti del dolore si "accendono" (a volte anche con un brivido) guardando le vittime (Elena Dusi).
Una simile risposta empatica si scatena anche a seguito della visione di opere architettoniche o astratte. È il caso dei dripping di Pollock e dei tagli di Fontana.
Il concetto di empatia - Einfühlung (sentire dentro) - è stato introdotto verso la fine dell'Ottocento da Robert Vischer, termine con il quale intendeva evidenziare le reazioni fisiche provocate in un osservatore di opere d'arte.
Poco dopo, nel 1893 Aby Warburg introduce le pathosformeln, secondo le quali, le forme esteriori del movimento in un'opera rivelano le emozioni interiori del personaggio interessato.
Insomma, oramai è chiaro che, ciò che accade in un'immagine osservata, provoca una reazione fisica ed emotiva in chi la osserva; la scoperta dei neuroni a specchio nella corteccia parietale posteriore delle scimmie è un fattore del quale oggi non è più possibile prescindere.
I neuroni di un osservatore si mobilitano quando ci si trova difronte a un'azione che, a sua volta, diviene comprensibile attraverso il meccanismo di simulazione incarnata. Ciò accade anche solamente a seguito di piccoli accenni, per cui divengono determinanti e, di conseguenza si scatenano le proprie reazioni, anche per le singole espressioni facciali.
Per concludere è bene mettere in evidenza proprio la correlazione empatica tra espressioni fisiognomiche. La ricerca in quest'ambito vede in primo piano gli studi di Antonio Damasio. Egli ha dimostrato che le reazioni emotive [...] sono collegate alle mappe neuronali dello stato fisico corrispondente [...] e che, anche in questo caso, chiamano a reagire le stesse aree dell'encefalo. Il cervello si pone in modalità di simulazione anche per quanto concerne le espressioni fisiognomiche, inducendo nell'osservatore sentimenti come la paura, la sofferenza, il disgusto.
Oltre alle reazioni descritte finora - coinvolgimento fisico, identificazione delle emozioni, empatia per le sensazioni fisiche - Freedberg e Gallese aggiungono le reazioni nei confronti delle qualità formali dell’opera e della gestualità dell'artista. Anche qui si ha una reazione somatica in risposta alla manipolazione vigorosa del medium artistico e, più in generale, all'evidenza visiva del movimento della mano dell'artista. Ciò apre a nuove prospettive collegando direttamente il gesto, e quindi l'azione artistica, senza ci sia un'azione esplicita, ad una reazione empatica. Ci sono quindi sufficienti prove a dimostrazione che i nostri cervelli possono ricostruire le azioni, semplicemente osservando il risultato grafico statico di un'azione passata compiuta da un soggetto. Questo processo ricostruttivo [...] è un meccanismo di simulazione incarnata che si basa sull'attivazione degli stessi centri motori necessari a produrre il segno grafico.
io@giacomobelloni.com
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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota
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