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Anni '60: Minimalismo, Body e Land Art. Una nuova sintassi per una scultura inserita nello spazio reale.
Ripetizione, eliminazione delle gerarchie e delle priorità relazionali, assenza di un centro ed esteriorizzazione del senso, equilibrio formale, spersonalizzazione e cancellazione dell'emotività, materiali dell'industria e progetto.
di Giacomo Belloni
Se la Pop Art prende i propri spunti dalle icone edulcorate di una società che muta sulla base di un’estetica basata sulla pubblicità e sul marketing, l'arte Minimal prende ispirazione dalla modernità delle architetture newyorkesi.
Tra queste, quella che maggiormente ha stimolato i Minimal è stato il Seagram Building, grattacielo progettato di Ludwig Mies Van Der Rhoe, e completato nel 1958. Il suo carattere fortemente modulare, seriale nella semplicità dei suoi elementi costitutivi, ed industriale - sia per le metodologie costruttive che per i materiali utilizzati - lo ha reso l’energica presenza che ha stimolato una buona parte dell'arte degli anni '60. Il suo progetto rappresenta uno degli esempi più elevati del razionalismo funzionale contemporaneo.
Sulla scia proprio del Seagram Building la fase progettuale acquista un’importanza determinante divenendo tanto fondamentale che, come vedremo in seguito, anche nel campo dell'arte questa verrà considerata paritetica a quella operativa, la quale sarà invece delegata ad altri (e differenti) interpreti che agiranno sulla base delle istruzioni impartite dal progettista. Questo non sarebbe mai stato possibile se non ci fosse stata una necessità spersonalizzante e collettivizzante, dopo l'emozionalità che aveva permeato in ogni suo aspetto il ventennio precedente, quello dell'informale.
La Minimal Art fa quindi propria l'estetica newyorchese, quella dei grattacieli che sviluppano da terra verso l'alto i propri volumi, quella che si fonda sulla reale occupazione di uno spazio che eleva dal suolo le proprie forme (Andre) recuperando da queste la pesantezza e la gravità. L'unità di misura è ora l'uomo inserito gravitazionalmente nel proprio contesto.
La Minimal Art va oltre l'arte da parete, supera la tela dell'espressionismo astratto, ancora radicata in un supporto ed in una dimensione, anche se non più prospettica, oramai non più sufficiente, adatta.
La Minimal Art recupera il peso e la gravità impossessandosi dei luoghi e degli osservatori, rendendoli partecipi attivi e presenti al lavoro dell'artista. Le sue forme sono minimali, essenziali, ridotte all'estremo, come in una ricerca che riprende un filo lasciato interrotto dall'arte astratto-geometrica.
Hand catching lead è un lavoro del 1969 di Richard Serra, in cui l’artista fa della ripetizione il motivo dominante di una nuova forma espressiva. Nel video si vede una mano che cerca di afferrare - a volte riuscendoci, a volte no - alcuni pezzi di piombo che cadono gravitazionalmente.
E ancora Casting, sempre del 1969; Serra versa del piombo liquido, sull'angolo in basso tra pavimento e parete. Il metallo si raffredda velocemente formando strisce irregolari che Serra posiziona poi al centro della stanza. Barre di metallo simili tra loro, sia per forma che per dimensione, si ripetono in successione senza che nessuna risalti sulle altre; nessuna gerarchia, nessuno sbilanciamento relazionale.
Con questi lavori Serra s’inscrive in una cultura in cui la ripetizione sarà il modo per estrinsecare un senso fondato sul legare insieme con pari dignità elementi, generalmente di natura industriale.
La ripetizione aveva fatto già comunque la sua comparsa in precedenza: nelle sculture di Donald Judd (metà degli anni '60) e nei dipinti di Frank Stella (fine degli anni '50); questi lavori si basavano su un equilibrio formale estremo: fai qualcosa in un angolo e la equilibri con un'altra in quello opposto. Una cosa dopo l'altra, in una perfezione strutturale e ripetitiva che consentiva di fugare ogni economia relazionale.
Richard Serra aveva lavorato nell'industria dei metalli e aveva con questi una buona dimestichezza e familiarità. Le sue lastre monumentali, imponenti, monolitiche, senza saldature, solamente appoggiate a terra, producono sullo spettatore un inquietante senso di precarietà e di timore. Stacked Steel Slabs sembra sull'orlo di collassare, anche se il peso delle lastre la mantiene stabilmente in verticale. Come Andre, Serra lascia al materiale l'ultima parola sulla finitura: nessuna finzione, solamente la sincerità di un metallo che s'inscrive direttamente nel contesto reale senza ci sia bisogno di alcuna mistificazione.
Dan Flavin prosegue sulla stessa linea lavorando con i tubi luminosi al neon, applicati a parete in sequenza. Se l'opera dipinta è fatta di luce che, nel suo riflettere, restituisce il colore alla visione, i neon di Flavin la producono (insieme ai colori) dall’interno. Come le opere minimaliste i tubi invadono l'ambiente e costringono lo spazio alla loro presenza, il quale, senza di queste, sarebbe invisibile nella propria oscurità; adesso invece esiste proprio perché l'opera è presente in lui e lo attiva come tale, dandogli una dimensione artisticamente esperibile.
La luce di Flavin è impalpabile ma forte nella propria energia materializzante, esattamente come i vuoti delle sculture di Judd, costituiti di nulla ma forti della loro relazione con i pieni. Gli uni esistono solamente attraverso la relazione con gli altri, in un'alternanza che nelle opere Minimal non finiamo mai di scoprire.
La Krauss propone un confronto tra le sculture di Donald Judd e i Readymady che Duchamp aveva creato quasi cinquant'anni prima, passando per le Brillo box di Warhol. C'è un punto di tangenza tra loro, qualcosa che le accomuna. Unica differenza è nel fatto che i Pop utilizzano icone ben definite, emblematiche. Judd invece smaterializza le sue sculture lucidando le superfici per confonderle, con l'intento di eliminare ogni riferimento all’individuo. D'altronde, dopo le profondità emozionali negli anni 50, gli anni 60 basano i loro intenti sulla più assoluta spersonalizzazione, sia che ci si riferisca ancora alla figura dei Pop che si tratti dell'astrazione dei Minimal. Senza alcuna figurazione questi ultimi si orientano verso quei materiali industriali che caratterizzano così insistentemente il loro periodo. Questi materiali avevano due qualità basilari: la produzione seriale e la facile reperibilità che, nella loro illimitatezza suggerivano un continuum spaziale e una reiterazione estrema. Un modulo ripetuto senza fine - esattamente come quello proposto dal Seagram Building - una cosa dopo l'altra senza ci siano elementi più rilevanti di altri o rapporti gerarchici : legare insieme elementi senza voler enfatizzare nulla [...] significa che l'idea di centro viene annullata, [...] quindi l'idea che vi sia una necessità interna. (Krauss). Ecco cos’era la vera spersonalizzazione inverata negli anni '60.
Un centro che si espande verso un'esterno può essere considerato ciò che ispirava le creazioni di Henry Moore e di Jean Arp, come negli alberi gli anelli del tronco, come le stratificazioni della roccia che si moltiplicano e si sovrappongono concentricamente, come un'energia che si espande per divenire forma. Il centro è il cardine del loro pensare la scultura, esattamente come lo era per Pevsner e Gabo, anche se con una grammatica ben più regolare e geometrica.
Gli scultori minimalisti rifiutano qualsiasi interiorità che produce la forma a priori e privilegiano la riduzione estrema, ai minimi, una riduzione al culmine della vacuità. (Krauss)
Mentre nelle opere informali del decennio precedente, la tela - così come la scultura - era un indicatore esteriore dell'intimità dell'artista, una mappa delle emozioni profonde, il carattere privato dell'esperienza, ora, l'io interiore viene spersonalizzato a favore di una coscienza sociale, collettiva, conformata alle immagini nuove e colorate, ai materiali d'uso e alle nuove estetiche modulari.
La critica all'espressionismo astratto era già stata portata avanti da Jasper Johns attraverso l’opera Ale Cans del 1960: una fusione in bronzo di due lattine dipinte ad imitazione di quelle originali che intendeva parodiare l'idea che il Readymade potesse esprimere l'individualità dell'artista ed i suoi stati d'animo. La sua bandiera americana dipinta testimoniava proprio questo carattere collettivo e sociale.
Analogamente a Johns Frank Stella dimostra le stesse teorie con le tele quando riduce la bandiera americana a strisce monocrome, ripetute per cancellare qualsiasi spazio illusionistico a favore di una bidimensionalità spersonalizzata.
I minimalisti iniziarono a voler affermare l'esteriorità del senso espungendo ogni riferimento al mondo, perché qualsiasi illusione avrebbe posizionato la scultura in uno spazio metaforico anziché nella realtà (per la quale non serve alcun illusionismo) e avrebbe riportato il senso al di fuori della materia che la costituisce. L'opera vale per ciò che è e, nel rapporto che ha con il mondo.
Quando Robert Morris crea i suoi angoli li inserisce nello spazio, ognuno in una posizione differente. Ognuno di questi ha una sua personale relazione con il contesto in cui è posizionato (e quindi con lo spettatore), tanto da apparire differente rispetto agli altri che invece hanno esattamente le stesse dimensioni e la medesima forma. I suoi Angoli sono inseriti nello spazio dell’esperienza, non sono più riflesso esteriore di un'armatura interiore, individuale. Il loro peso a terra li radica nel mondo senza vi sia alcuna illusione, senza finzioni. Questi aggrediscono il contesto proponendo loro stessi, senza sia necessario alcun rimando, senza debbano essere metafora di null’altro se non di ciò che sono realmente; aggrediscono lo spettatore che si rapporta a loro partecipando fisicamente, tattilmente, oltre che visivamente. Aprono l'idea al fatto che il corpo (body art) e il contesto (land art) abbia un valore artisticamente da scoprire e da sperimentare.
I Minimal riportano all'esterno dell'opera l'origine del significato, non più da uno spazio interiore ed intimo, da uno spazio esterno, comune, condiviso, culturale. Il senso proviene dall'esterno e si spersonalizza a vantaggio di un'espressione generalizzante, così come era quella di una società nella quale il valore singolo e individuale perde valore per lasciare spazio ad una coscienza collettiva. Da un lato le icone spersonalizzanti di una memoria divenuta immagine edulcorata espressa dai Pop, dall'altro l'iconoclastia che esprime un appiattimento generalizzante della società considerata come entità indivisibile, piuttosto che come sommatoria di singoli elementi emozionali.
Donald Judd riduce le sue opere a sequenze matematiche come se servisse ritrovare una base comune ed incontrovertibile. D'altronde le sequenze si fondano su una continuità ben espressa attraverso i numeri. Lo stesso Merx in ambito italiano proporrà esplicitamente le sequenze di Fibonacci per evitare di personalizzare troppo ambiti facilmente riconducibili alle sensibilità personali. Judd propone elementi in successione, occupando lo spazio sia con i pieni che con i vuoti, come se questi ultimi riuscissero, magari meglio, a suggerire nuove potenzialità volumetriche. D'altronde le teorie di John Cage imperversavamo ed assegnavano ai silenzi alti valori ed importanze inesplorate fino a quel momento. L'opera vive in bilico tra due differenti situazioni, i pieni ed i vuoti che si alternano unendosi in un continuum percettivo che, essendosi slegato completamente da qualsiasi interiorità, dipende totalmente dagli spazi esterni ad essa.
Queste stesse esteriorizzazioni si ritrovano nelle permutazioni di Sol LeWitt. Il suo cubo parte da una semplice linea che si permuta fino a divenire matematicamente tridimensionale, un cubo aperto e trasparente. Nessuna pelle ma una struttura che si rivela e si mostra senza timore: concetto puro nella sua più estrema essenzializzazione. Qui l'uso del non colore bianco intende eliminare qualsiasi riferimento alla materia mostrando un colore universale, completamente anonimo e oggettivizzante.
Carl Andre annulla la parete. Il suo modulo industriale si ripete nel tempo e nello spazio, suggerendo una successione di semplici unità che potrebbero estendersi all'infinito. La sua scultura annulla qualsiasi tridimensionalità offrendo allo spettatore maggiori possibilità percettive e spaziali: una partecipazione completa e fattiva. I suoi lavori si inseriscono pienamente nella cultura del tempo che voleva lo spettatore partecipe al processo creativo attivato dall'artista. Ora però l'opera - si muove, scricchiola, emette rumori - reagisce ad un osservatore che interagisce con lei camminandoci sopra; innescata da qualcuno controbatte fisicamente alla fruizione.
Inoltre, la sua bidimensionalità cancella ogni possibilità di centro.
Carl Andre utilizza mattoni refrattari, blocchi di polistirolo espanso, uno dopo l'altro, senza gerarchia, senza che nessuno sia mai dominante sugli altri, un mezzo per capire a cosa assomiglia il mondo, in una concezione della continuità che si ripresenta come un eterno ritorno o come l'alba di un nuovo giorno.
Figura in bilico tra la Minimal Art e la Land Art, Michel Heizer nel 1969 realizza nel deserto del Nevada Double Negative, una monumentale scultura realizzata togliendo materiale, come facevano gli antichi quando lavoravano il marmo. Il lavoro apre due enormi fenditure simmetriche rispetto ad un burrone centrale. Come scrive la Krauss: l'unica maniera per per vivere l'opera è esserci dentro e pensarla come pensiamo di abitare lo spazio del nostro corpo. Il centro reale dell'opera, il burrone, è fisicamente non percorribile per cui si è costretti a considerare come spazio la fenditura nella quale si è inseriti mentre si osserva il vuoto opposto. Si è dentro se stessi e nel contempo, come allo specchio, si osserva qualcosa che ci potrebbe contenere. La scultura vuole essere una metafora dell'io sociale nella sua duplice considerazione: quella che gli altri hanno e quella sfalsata che abbiamo di noi stessi, troppo dentro di noi per poter essere visti dall'esterno.
Heizer agisce su grande scala nel periodo in cui le dimensioni devono divenire più grandi perché la percezione e le potenzialità del mondo aumentano la loro portata parallelamente all’aumento delle possibilità inverate dai viaggi spaziali. La necessità di un punto d'osservazione differente, lontano richiede superfici abnormi e strumenti differenti. Non è più sufficiente la tela ed il pennello, e la terra si trasforma in una superficie scrivibile attraverso ruspe ed escavatori meccanici.
Su questa scia lo segue Robert Smithson con il suo Spiral Jetty, una spirale di blocchi di basalto che si estende per 450 metri, per 4 metri e mezzo nel Grande Lago Salato. Come la precedente opera di Heizer anche la spirale può essere esperita solamente attraverso una partecipazione fisica totalizzante. Un cammino che cambia prospettiva ed induce diverse sensazione man mano ci si avvicina al centro.
Le opere invecchiano e mettono in luce non solo la loro caducità, ma il modificarsi con il tempo che passa su di loro. Il Doppio Negativo si sbriciola, modifica la sua forma, riempiendosi e cancellandosi, la Spirale si ricopre di sale producendo riflessi rosati che cambiano intensità a secondo della luce del giorno.
L'artista non fa più equipaggio con il caso, ma sceglie nuovamente un a priori progettuale per essere sicuro di eliminare ogni termometro dell'individualità, del personale.
io@giacomobelloni.com
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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota
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