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Marcel Duchamp e la visione che esteriorizza l’inconscio ed il desiderio
da Rosalind Krauss, The Optical Unconscious, 1993
di Giacomo Belloni
Ad un certo punto della propria vita Marcel Duchamp abbandona la pittura per dedicarsi, almeno a quanto riporta un suo biglietto da visita, all'ottica di precisione. Affitta quindi uno stand al Salone delle Invenzioni per pubblicizzare i suoi dischi per fonografo ottico. Questi dischi venivano applicati su un fonografo che li faceva ruotare, così che questi creavano illusioni ottiche, spesso tridimensionali, con volumi che sembravano addirittura sporgersi verso lo spettatore.
Ecco allora materializzarsi mongolfiere che si alzano in aria, o il pesce rosso intrappolato tra cerchi rotanti, fino a figure che acquistano volume per divenire ambigue metafore sessuali. La particolarità, che era poi la implicita promessa del venditore al Salone, era l'appagamento della vista e al medesimo tempo del desiderio sessuale.
Se chiedessimo a Clement Greenberg cosa sia per lui lo sguardo messo in moto da un'opera d'arte la sua risposta implicherebbe l'azzeramento del tempo a vantaggio di una visione istantanea in grado di cogliere in un solo colpo l'interezza la totalità. Quando non c'è questa totalità si ha il tempo per realizzare che si è presenza pensante in uno spazio reale e che c'è un corpo che supporta uno sguardo che analizza l'opera per istanti logici.
Quindi, nel caso di Duchamp, nulla è più lontano della visione concepita da Greenberg. Il suo problema era come rendere la tensione e la vibrazione di un volume tridimensionale utilizzando un'immagine piatta.
Nel Grande Vetro la Sposa è in alto e i Celibi sono in basso. Una macchina anti-retinica ma disponibile ad ogni interpretazione concettuale; il retinico è opposto a concettuale, così come il mondo materiale a quello delle idee, così come la retina alla materia grigia.
Gli istanti logici sono quella sommatoria di momenti necessari anche per assemblare ed illuminare il suo diorama 1) Dati la caduta dell'acqua 2) il gas d'illuminazione; pagine di istruzioni che non dimenticano lo spettatore e come questo si deve posizionare per l'osservazione dell'opera.
Sartre parla di Dati nel suo capitolo Lo Sguardo in cui descrive un osservatore esterno che contempla chi sta a sua volta osservando il diorama. L'osservatore diviene quindi oggetto d'osservazione: un corpo curvo, chinato a guardare nel buco di una serratura nell'atto del voyeur, che diviene a sua volta oggetto.
In Dati la prospettiva classica viene messa in discussione dal muro di mattoni che interrompe il cono della visione; gli stessi punti di fuga sono qui incarnati nel centro buio dell'orifizio della Sposa per creare come dice Lyotard un dispositivo speculare dove il punto di fuga e il punto di vista sono tra loro simmetrici.
Inoltre è stato lo stesso Duchamp a volere che Dati venisse posizionata in un museo, proprio per quello status di luogo pubblico che vede passare davanti all'opera molti spettatori.
Il voyeur di Dati e esattamente come Roger Frey sul palco, con la sua bacchetta, quando si pone davanti allo schermo sul quale viene proiettata l'opera d'arte: la silhouette del critico che si trovava davanti al quadro era di per sé una visione, un quandro per chi osservava dalla platea.
Tornando al Grande Vetro la visualità suggerita da Duchamp non è una visualità propriamente concettuale, ma sicuramente anche carnale.
Comunque, per osservare il Grande Vetro non è sufficiente la sola retina - cosa sempre rigettata da Duchamp con vigore - ma c'è bisogno anche della corteccia; non solo occhio quindi ma anche cervello, per consentire all'immagine di raggiungere i centri neurologici (celebrali) della visione. Duchamp stesso riteneva i componenti del suo lavoro allusioni alla neurofisiologia ottica; ecco quindi che i setacci potrebbero divenire metafore della luce elettromagnetica che colpisce la retina, anche se Lyotard non è assolutamente d'accordo in quanto ritiene che sia la fisica la chiave di volta per comprenderne i veri significati, e non la metafisica. La stessa fisica che coinvolge i Rotorilievi, la Semisfera rotativa proprio come attacco alla visione retinico-modernista.
In verità Duchamp non contesta prettamente il retinico, ma il retinico e basta; rigetta il fatto di non andare oltre la retina, senza ricorrere, appunto, alla materia grigia. E quest'ultima è comunque parte del corpo e di andare oltre la retina, ma non per arrivare alla trasparenza della visione (come suggerito dal vetro del Grande Vetro, ma per giungere alla soglia del desiderio-nella-visione, quindi per per costruire la visione nell'opacità degli organi e nell'invisibilità dell'inconscio. (Krauss)
Il modello della visione della conoscenza classica nasce nel XVII secolo con la camera oscura. Nel 1810 Goethe limitando e chiudendo l'apertura della fonte luminosa da il via all'immagine residua (o fantasma). Si tratta di un'illusione ottica che crea un'immagine che continua ad esistere nella visione anche quando l'esposizione è terminata. Nel 1830, Helmholts, attraverso lo stereoscopio scompone per poi riunire le immagini separate dai due occhi attraverso un gioco di specchi posizionati a 90° l'uno rispetto all'altro, annientando di fatto l'idea precedente della camera oscura. Con questa tecnica non è più possibile pensare alla prospettiva. (Krauss)
Come riporta ancora una volta Lyotard, Duchamp non è interessato a continuare su questa strada di pura visualità ma a intraprendere un suo percorso, con le Ottiche di precisione. Egli ha come intento quello di stimolare il desiderio della visione, utilizzando le sue illusioni per pungolare anche il funzionamento inconscio di questa. Il fatto che alcune sue ottiche producessero immagini erotiche era funzionale al fatto che in questo modo avvenisse un punto d'incontro tra le teorie fisiologiche e quelle psicologiche. Ecco che la visione si trova di fronte ad un inconscio ottico che recepisce in sé tutto ciò che, in una visione unica, va oltre il solo fattore retinico per arrivare alla corteccia nella sua sommatoria dell'esperienza interiore che si riflette in un vedere attivo e partecipe che non si limita a ciò che è funzione fisiologica.
È qui che si situa Duchamp, in questo campo che si muove tra il ritmo dei suoi dischi che stimolano le illusioni per merito di una catena associativa che modifica di continuo l'immagine definitiva, che non è più solamente quella dell'occhio. La sequenza delle sostituzioni che avvengono con le ottiche di precisione rimanda allo scenario freudiano dell'indisponibilità del rimosso e dell'insaziabilità strutturale del desiderio; quest'ultimo infatti non è in grado di manifestarsi nella camera oscura o in altri dispositivi ottici. Le sue ottiche di precisione vogliono catturare l'effetto della proiezione del desiderio nel campo della visione attraverso un’esteriorizzazione dell'inconscio che non fa altro che testimoniarne ancora una volta l'opacità.
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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota
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