EMILIO VILLA: Burri, in "Arti Visive", 1953

… dimessa cosmogonia, elegiaca esterrefatta composita, epos per istantanee tragedie quotidiane, miniature rapsodica delle grandi formazioni nel tempo, avvenute senza traccia, o eventuali: il grande sangue, i tracciati del mondo senza requie, la legge che detta lo scrimolo ai frantumi di una visione da mettere sù, insieme come materia e come sorpresa, la divagazione profetica delle righe che han modellato le forme degli arcipelaghi e il congegno delle penisole, lo scheletro delle trote nelle acque dell'Adda, nella memoria delle palafitte c'è molto che può diventare materiale di una breve e costernata superficie di pittura, ma pittura per modo di dire; e, invece, di quella qualunque altra azione compiuta per rivelare sensi specifici e non confutabili: Burri Alberto coltiva come in vitro, anzi come in lino, queste contrattili anatomie di organismi inespressi, incerti tra una parvenza di materiali biologici fuori uso e un ideale di fulminei universi tra il gigantesco e il minimissimo: una ambiguità spalancata, un desiderio di stringere ricordi di cose che devono chiarirsi: io ricordo la grande invenzione di Burri: l'opaco, l'opacità, ardita dopo tutto, pescata nel fondo degli altri colori, e formata in concrezioni molto espressive: l'esistenza del mondo allo stato puro, fatta quasi eleganza, leggerezza pensata all'interno della materia, prima dell'unità e prima delle separazioni: dove le filiture sui crepacci del non manifesto sono frettolosamente, ma con dignitosa abilità, chiuse da suture, opera di un medico destituito dalle sue relazioni sociali: di un medico all'antica, che sa le virtù operanti della lana e del lino: non a caso Alberto Burri è stato un medico, ora trasformato in un chirurgo ben più virtuoso, di rara, precisa libertà: dopo aver girato miracolosamente lungo planimetrie impercettibili di città sepolte nel bitume, o nei labirinti infantili.
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"È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?" Dostoevski, L'Idiota
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